Il Silenzio dei Profeti

“IL SILENZIO DEI PROFETI”
(Editrice Il Segno, Verona 1995, pagine 218 lire 25.000, euro 12,91; 30.000 cartonato, euro 15,49)
oggi in 3^ edizione
Se non si trovasse più in libreria, rivolgersi direttamente all’editore: 045/772.55.43


BREVE SINTESI DEL ROMANZO
È la storia di una corte contadine demolita nel 1969 a causa degli spazi richiesti dall’urbanizzazione incipiente. Il racconto segue le vicende di sette famiglie costrette ad un brusco passaggio di vita, per alcuni micidiale. Il “transito” da vita a vita viene narrato da Francesco che, allora bambino, poi uomo, non ha voluto dimenticare la sua infanzia contadina per raffrontarla, inevitabilmente, con la sua maturità cittadina.

IL SILENZIO DEI PROFETI
presentazione di Emilio Gabrielli
esperto in editoria


Riferendosi ai tempi che stiamo vivendo si sente parlare, spesso, di “cambio epocale” come se si stesse passando, come altre volte nella storia, da un’epoca ad un’altra. E sembra, in questo modo, di affermare grandi e vistosi cambiamenti in atto nella storia dell’uomo contemporaneo.
Sono convinto, al contrario, che quanto stiamo vivendo, non possa essere sufficientemente reso con l’espressione di cui sopra.
Non stiamo infatti assistendo ad un “cambiamento”, ma ad una “tragica rottura”; è finita una semiretta e ne sta, speriamo, iniziando un’altra, ma con una discontinuità tra l’una e l’altra che non permette una “ossigenata” comunicazione tra il “già” e il “non ancora”.
L’umanità, infatti, nella sua globalità, dal suo inizio -diciamo da Adamo per ripercorrere la storia della nostra cultura- ha avuto, in tutte le varie epoche e in tutti gli angoli del mondo, un rapporto più o meno identico con la terra.
Era la terra l’elemento unificatore della problematica umana, era essa, per l’uomo, il punto di partenza della presa di coscienza di sé; attraverso la terra e il ritmo della sua vita gli uomini e i popoli hanno costruito lingue, culture, religioni.
E proprio perché la terra era una, e considerata da tutti come dono, esisteva da sempre una possibile strada di comprensione tra i popoli, le culture, le religioni… e nulla, dello sforzo profetico dell’uomo nel suo andare avanti, lungo la storia, andava perduto.

Ora non più… la terra è stata come zittita con una serie di innumerevoli gesti di grande, efferata violenza. Le due guerre mondiali con il numero apocalittico di morti e di distruzioni sono un “niente” rispetto alla violenza fatta, universalmente, dall’uomo moderno alla terra e alla storia umana che essa racchiude.
Orme dell’uomo, e quindi di Dio, semplici, povere, che l’uomo per migliaia di anni aveva lasciato in custodia alla terra, sono state annientate da scavi enormi e sepolte da milioni di chilometri quadrati di cemento e di asfalto.
Ma ciò che è peggio, questo seppellimento e il conseguente enorme cimitero, dai suoni sinistri, impedisce all’uomo di mettersi in contatto quotidiano fisico, diretto, con la terra… e non solo a quanti abitano nelle città che, per la verità, fino all’altro ieri, attraverso gli orti e le corti contadine, ospitavano la campagna.
Anche i contadini – cittadini, ormai, non hanno più rapporto con la terra, acquisendo, essi, tutti i difetti degli abitanti della città. Non c’è più alcun “resistente” in difesa della terra e questa non può più operare la multiforme azione terapeutica gratuitamente fornita per secoli. Anzi, è la terra stessa che sembra aver bisogno di essere salvata.
Impresa grande, ciclopica, che avrebbe bisogno di “un uomo” robusto, spiritualmente ancorato a valori e forze più salde della terra stessa. Ci troviamo, invece, di fronte a uomini slegati tra loro perché tutti aggruppati ad oggetti diversi e, per altro, deboli, essendo solo oggetti prodotti dalle mani dell’uomo e, quel che è peggio, prodotti da intenzioni divergenti, e perciò prevaricanti l’uno l’area dell’altro.
La moltitudine di oggetti, divenuti reali ed antagoniste divinità di riferimento, sta creando una moltitudine di linguaggi incomprensibili pur usando, magari, la stessa lingua: è la Babele moderna.
Uscirne… come? Occorrerebbe un’ampia profezia e una moltitudine di profeti. Ma come farli sorgere autentici, rispettosi dell’uomo e del suo habitat? Non è prima necessario ricreare l’ambiente adatto per un ascolto universale delle voci profetiche timide che ci vengono da un sussurro lieve del vento, da un colore vario e caldo del fuoco, da un rigenerante scroscio d’acqua?
Questi, tra gli altri, sono stati i pensieri e le riflessioni che il romanzo di Gaetano Bellorio ha suscitato in me durante la lettura. Un’ampia memoria, una grande nostalgia, ma, soprattutto, un grande “grido” quasi atto a generare condizioni rivoluzionarie per un rapporto veramente nuovo e positivo dell’uomo con la terra perché la “profezia” possa ancora trovare albergo fra gli uomini.